L’olio d’oliva nelle Marche

Le Marche sono una regione a prevalenza rurale. Seppur le condizioni climatiche non rispondono a requisiti ideali per la coltivazione degli ulivi a causa delle possibili temute gelate dell’inverno, la storia della fruttuosa coltivazione di questa pianta risale ai tempi dei romani.

A seguito della conquista del territorio del Piceno, e con la creazione di importanti colonie quali Pesaro, Jesi, Fermo, Senigallia (una volta conosciuta come Sena Gallica) e Osimo, Gaio Flaminio fece costruire una tratta della notoria via Flaminia per collegare Roma  a Rimini. Le terre circostanti la strada, che comprendevano i territori del piceno, vennero concesse ai contadini indigeni per la coltivazione degli alberi centenari, non causando pochi malcontenti degli alleati italici dei romani. Si crearono così le condizioni per dare visibilità alla zona grazie anche ai traffici commerciali praticati per quella via.

Una forte battuta d’arresto si ebbe con la caduta dell’Impero Romano e l’avvento delle popolazioni barbariche, quando per sfuggire agli attacchi le case agricole vennero abbandonate e presto il suolo si trasformò da fonte di ricchezza e qualità di prodotto a territorio boschivo abbandonato a sé stesso.

Solo nel Medioevo, grazie alla stabilita presenza dello Stato della Chiesa nel fronte settentrionale della Regione, e lo stile di vita dei monaci benedettini dell’”ora et labora”, vennero ricostituiti quegli ingredienti essenziali per la restaurazione del benessere del suolo e la cura degli alberi.

Va sottolineato che, nonostante la successione di insediamenti, ormai tutti i popoli che presiedevano la zona dell’attuale Italia avevano riconosciuto l’importante valore dell’olio: ad uso alimentare, per i più, liturgico, farmaceutico e anche come forma di scambio per il pagamento di pedaggi. Ricordiamo che il “riparico” (pedaggio di 25 libbre di olio per approdare sul Po) veniva vinto dagli olii provenienti dalle Marche. Diverse fonti attestano come il prezzo di questi ultimi era valutato marcatamente più alto rispetto a quelli provenienti da altre zone della penisola. 

METODO DI OTTENIMENTO

La produzione dell’olio extra vergine di oliva IGP marchigiano segue un disciplinare che descrive le caratteristiche tecniche per l’ottenimento della certificazione, attestazione di un’alta qualità del prodotto.

Le olive devono venire raccolte non oltre il 15 dicembre, lasciate areare in cassette adeguate, è vietato infatti l’utilizzo di sacchi di juta. Possono essere raccolte a mano (brucatura) o con sistemi meccanici che mantengono integre le qualità del frutto.

La lavorazione successiva deve avvenire quanto prima possibile, e comunque non oltre due giorni successivi alla raccolta, includendo la sosta in frantoio.

Per la produzione dell’olio IGP le olive vanno defogliate e lavate prima della fase di molitura. Viene sottolineato come “l’estrazione dell’olio extravergine di oliva deve avvenire mediante processi meccanici e fisici atti a garantire l’ottenimento di oli senza alcuna alterazione delle caratteristiche qualitative presenti nel frutto”.

L’olio va lavorato ad una temperatura non superiore ai 30°C, e conservato in recipienti di acciaio inox, vetro, o contenitori idonei per la conservazione della temperatura tra i 10°C e i 18°C. La resa massima è fissata al 20%. L’ultimo passaggio prima del confezionamento è la decantazione e filtrazione per eliminare eventuali residui di lavorazione.

L’ASSAGGIO

L’olio viene classificato in base ad alcune peculiarità che si riscontrano a seguito di un processo di assaggio definito “Panel test”. Quattro sono le componenti che interagiscono per determinare con che tipo di prodotto ci si sta confrontando, e sono quella visiva, per valutare aspetto e colore, gustativa per conoscere il sapore, olfattiva relativa agli odori e tattile, per consistenza e fluidità. Le combinazioni di queste ultime formano il “flavor” finale.